Ho un grande rispetto per la cultura e le tradizioni ultra millenarie, ma la condizione femminile in Nepal è scandalosa. Le donne hanno ben pochi diritti. Sono nate per lavorare e servire l’uomo. Non vanno a scuola e non vengono istruite perché non avrebbe senso. Quello che devono imparare glielo può insegnare la mamma. Sono a tutti gli effetti degli esseri inferiori.
Ecco la dimostrazione. Tre donne che fanno i muratori:
Quando nasce una femmina è già un motivo di dispiacere per la famiglia, ma quando nasce una bambina disabile, allora è una vera tragedia. Sono considerate degli esseri spregevoli, inutili, una vergogna, dei mostri da nascondere, a cui è negato ogni tipo di diritto.
Vengono chiuse in casa e diventano un peso insopportabile per chi abita con loro perché non lavorano. Nelle condizioni di povertà in cui si trova il Nepal, quando una famiglia ha due figli, uno sano e uno disabile, a chi pensate venga dato il poco cibo disponibile? Per questo motivo molte bambine con problemi fisici o mentali muoiono per denutrizione.
Oltre ai maltrattamenti inflitti alle donne disabili, anche la stessa famiglia può ricevere delle minacce. Per capire i motivi bisogna sapere che le due religioni principali del Nepal (induismo e buddismo), prevedono precise regole di reincarnazione e karma. Il karma è la legge di causa ed effetto. Per ogni azione c’è una conseguenza. Se una persona rinasce in questa vita con delle diversità è per colpa del suo cattivo karma. Vuol dire che nella vita precedente ha fatto qualcosa di malvagio, quindi è considerato un demone che deve scontare la sua pena. Se i genitori, per amore istintivo, proteggono o aiutano il proprio figlio disabile sono altrettanto colpevoli.
La femmina disabile è il gradino più basso dell’esistenza umana. Il peggio del peggio. Delle creature ignobili, indegne, abiette. Non trovo altre parole per farvi capire il disprezzo che provano nei loro confronti.
Ora che sapete quanto sia infelice la loro esistenza, vi racconto la storia di Mina, una ragazza nepalese con gravi malformazioni alla colonna vertebrale, in pratica uno dei “demoni” che vi ho appena descritto. Mina arriva da un villaggio sperduto (come quelli che ho visitato nei giorni scorsi), nata da due genitori poverissimi. Quando i “medici” del villaggio l’hanno visitata hanno diagnosticato che non avrebbe avuto scampo e sarebbe morta all’età di otto anni. I genitori non dovevano preoccuparsi più di tanto, presto se ne sarebbero sbarazzati tranquillamente. Per loro era un grande sollievo!
Passano gli anni, ma Mina non muore. I genitori cominciano a preoccuparsi (!) perché la gente del villaggio è spazientita da quella scomoda presenza e iniziano a minacciarli. La mamma non regge la pressione e scappa. Di lei non si hanno più notizie.
Mina però ha un fratello più piccolo di lei di tre anni che chiede di essere accudito. Vuole essere accompagnarlo a scuola e ogni giorno impiegano un’ora e mezza di cammino per raggiungere l’aula. I sentieri sono impervi e le difficoltà motorie di Mina rallentano la marcia, ma il fratello l’aiuta portandola anche in spalla quando devono guadare il fiume, soprattutto nella stagione dei monsoni, quando le piene rendono impossibile per lei un attraversamento con le proprie gambe.
Passano gli anni e Mina riesce a sopravvivere. Ogni giorno assiste alle lezioni e impara a leggere e scrivere, senza ricevere un’istruzione diretta, ignorata da tutti e senza la minima considerazione dell’insegnante. La bimba ufficialmente non è iscritta a scuola, è solo un’accompagnatrice, e poi sarebbe stato inutile perché era destinata a morire subito. Ma la sua forza di volontà la spinge ad andare avanti.
Mina è una sovversiva. La sua tenacia la spinge anche oltre i limiti di suo fratello che non riesce a passare l’esame per entrare alle superiori. Allora comincia a prendere coscienza delle sue potenzialità, riesce ad iscriversi, completa gli studi nella high scool e con coraggio lascia il villaggio in cui è tanto odiata per andare a Kathmandu. Lì incontra il suo destino.
A Kathmandu infatti c’è il NDWA, Nepal Disabled Women Association. E’ un centro di accoglienza per donne con disabilità fisica e mentale, problemi di integrazione sociale e vittime di violenze e stupri. Per molti è un vero covo di mostri, dove regna il male. Sono tollerate a fatica e ogni tanto qualcuno chiede che il centro venga chiuso immediatamente.
All’interno di questo centro si formano gruppi di auto sostegno. Le donne disabili vengono preparate per essere inserite e accettate nella società. Vengono educate e valorizzate per le capacità che possono offrire. Riescono così ad imparare nuovi mestieri e partecipano a training specifici per acquistare fiducia e imparare le tecniche gestionali che permettono alle stesse donne di auto amministrarsi. Diventano protagoniste della propria vita, con un ruolo di rilievo per la comunità che le ha sempre emarginate!
Mina ha trovato il suo scopo. Decide di impegnare tutte le sue energie nella divulgazione di questo ambizioso progetto e così diventa la program manager project CBM, responsabile della realizzazione dei programmi di CBM all’interno della NDWA.
Mi racconta tutto questo seduti nel suo ufficio nel centro di Kathmandu, in un palazzo accogliente, sorseggiando una tazza di Masala Tea, il loro delizioso tè allo zenzero allungato con il latte e mangiando uva. Mi illustra nel dettaglio tutti gli obiettivi della NDWA e gli sforzi necessari per completare l’opera. Io rimango affascinato da questa operazione, dall’entusiasmo che mi trasmette Mina, dalla luce che emanano i suoi occhi, nonostante le umiliazioni e le difficoltà più estreme che ha passato.
Parliamo del futuro, della voglia di espansione, delle città nepalesi in cui sono nati altri centri analoghi, di come si stiano espandendo grazie all’informazione, di come sia difficile fare sapere alle donne che hanno dei diritti, quando vivono in un villaggio sperduto.
A questo punto le faccio una domanda: “Mina, sei più tornata al tuo villaggio?”.
Lei mi risponde: “Certamente. Adesso che sanno cosa faccio hanno tutti cambiato idea su di me. Sono diventata un simbolo, un esempio da seguire e anche le altre donne si stanno risvegliando. Per me è una rivincita.”
“E la tua famiglia?”
“Mio fratello è rimasto al villaggio. Io adesso sono sposata e ho un meraviglioso figlio di 5 anni. Sono felice e soddisfatta. Mio marito mi ama e la mia vita viaggia a gonfie vele.”
Alla faccia di chi la vedeva morta a 8 anni…
Bene. Adesso che avete letto la sua storia vi chiedo una cosa. Come vi immaginate le donne disabili che si auto sostengono? Io devo ammettere che quando le ho conosciute sono rimasto sconvolto. Perchè? Bè, preparatevi, vi faccio vedere le foto di questi esseri immondi, di questi demoni, di questi mostri.
Ecco la protagonista. Mina:
E ora che che avete preso paura, state attenti alle prossime agghiaccianti immagini. Le altre ragazze del NDWA. Tutte disabili e rifiutate dalla società!
Due donne incredibili: Mina e Silvana, le responsabili di CBM per il progetto NDWA. Meritano tutto il rispetto del mondo!